Il 27 dicembre dell’Anno Domini 2020 Giorgio Galli se n’è andato nel mondo dei più, lasciando un vuoto notevole nella repubblica delle lettere italica; se volessimo fare qualche concessione alla retorica potremmo azzardare a definire incolmabile il vuoto lasciato. Il comunismo italico di matrice marxiana gli deve essere riconoscente, perché il Galli incrinava con documenti non contestabili un luogo comune consolidato nella vulgata storiografica del secondo dopoguerra, che parlava di un comunismo italiano che affondava le radici in Francesco De Sanctis e Antonio Labriola approdato nel pensiero originale del martire Antonio Gramsci. Senza assolutamente sminuire la tragedia del martirio di Antonio Gramsci, la versione poteva ascriversi a quell’antica boria delle nazioni di cui aveva parlato Giambattista Vico nella terza decade del Settecento, che proprio nella Russia staliniana ebbe un ottimo riscontro nella famosa leggenda di Popov che tutto aveva inventato. In parole semplici Palmiro Togliatti risolveva il concepimento e la nascita del comunismo italiano come pensiero e come azione, come fatto teorico e sviluppo partitico in un affaire propriamente nazionale, estendendo il primato civile e morale degli Italiani anche al versante comunistico. Nel 1951 usciva un quaderno di «Rinascita», dedicato al 30° anniversario della fondazione del Partito comunista, divenuto italiano, dacché era nato d’Italia – modestamente e semplicemente come sezione della Terza Internazionale – dove venivano fissati i canoni dell’ortodossia e dell’eterodossia della novella parareligione di massa e dove un certo bordighismo e il più noto trockijsmo erano classificati tra le «eresie» peggiori del fascismo. Ma nel 1953, due anni dopo la pubblicazione del citato quaderno di «Rinascita», un giovanotto di 25 anni, detto Giorgio Galli, trovò un coraggioso editore di origine ebraica, Arturo Schwarz, estraneo alla vichiana boria delle nazioni, poliglotta per nascita e per scelta, cultore di numerosi umani saperi (poesia, filosofia, storiografia, politologia, arti figurative, ecc.) che gli pubblicò a Milano una Storia del Partito Comunista Italiano, ove il vero protagonista era Amadeo Bordiga, almeno negli anni della incubazione, della fondazione e della prima esplosione del comunismo come partito in quel luogo – non in quella nazione – chiamato Italia. Sia l’editore Schwarz, sia l’autore Galli non ottennero quello che l’affarismo statunitense chiama successo, anzi nella prosecuzione del loro cammino inciamparono di brutto. Arturo Schwarz si specializzò nella pubblicazione di poeti contemporanei, ma anche in opere storiche e filosofiche in cui emergevano figure da lui ritenute di rilievo internazionale (Bordiga, 1953; Lev Trockij, 1956; Albert Einstein, 1958). Fu proprio la pubblicazione in lingua italiana di un libro di Trockij, di cui si dichiarava seguace, a porre fine alla sua attività di editore. Ascoltiamo la sua versione dell’accaduto: « Un fratello di mia mamma, direttore di una filiale della Comit, mi fece avere un piccolo fido. Pubblicavo libri difficilmente commerciabili, giovani poeti e saggistica: Breton, Einstein e, soprattutto, Trotskij. Mandai in stampa La Rivoluzione tradita con una fascetta gialla: “Stalin passerà alla storia come il boia della classe operaia”. Sa cosa accadde? Me lo confidò, tempo dopo, Raffaele Mattioli, amministratore della Comit e uomo di grande cultura. Lo chiamò personalmente Palmiro Togliatti, chiedendogli di togliere il fido “alla iena trotsko-fascista di Schwarz”. Così finì la mia prima esperienza di editore: per rientrare dovetti vendere tutto il magazzino a meno del 10% del prezzo di copertina».(Intervista rilasciata a Pier Luigi Vercesi, pubblicata sul «Corriere della sera», 14 aprile 2018, reperibile sul WEB).
Anche Giorgio Galli rischiò non poco. La Storia del Partito Comunista Italiano, edizione 1953, portava come coautore il nome di Fulvio Bellini, che vantava un passato di partigiano e un presente di militanza nel PCI. Se la sua espulsione dal partito togliattiano era prevedibile, data la sua professione di fede ereticale, la sua adesione al gruppo di «Pace e libertà» guidato da Edgardo Sogno e da Luigi Cavallo, nonché la sua collaborazione con Giorgio Pisanò, neofascista dichiarato, avrebbero potuto avvalorare la tesi togliattiana sul bordighismo come vivaio di antisovietismo, ovvero di anticomunismo. Nella realtà l’Italia, sfigurata da una disfatta spaventosa, di cui il primo artefice era stato il «duce», era sempre sospettata dagli USA di tradire l’alleato antico e recente come da tradizione; pertanto gli USA stessi non lesinavano dollari, né si facevano scrupolo di usare altri mezzi per tenerla al guinzaglio. Di questo Giorgio Galli era ben consapevole, ma non rinnegò mai quanto aveva scritto su Bordiga nel 1953, anzi la Storia del Partito Comunista Italiano, cancellato il nome di Fulvio Bellini, ebbe altre cinque edizioni sempre arricchite ed aggiornate (Schwarz, 1958; Bompiani, 1976: Il Formichiere 1976; Kaos 1993; Pantarei 2011).
L’attenzione riservata a Bordiga fu solo una piccola variante del suo vasto repertorio costituito da una immensa produzione dedicata in primo luogo ai sistemi di governo che si sono avvicendati nella storia dell’umanità occidentale, dalle città-stato, passando per regni, comuni, principati e imperi fino alla forma democratica angloamericana fondata sull’alternanza bipartitica. Fu tentato anche da sistematiche ricostruzioni di saperi esoterici, misteriosi e alternativi, antichi e moderni, massonici e paramassonici, ricorrenti nesotterranei delle culture filosofiche e politiche occidentali.
La Fondazione Amadeo Bordiga non lo ricorda con gratitudine solo per quanto scrisse nel 1953 e riscrisse per ben cinque volte, ma per avere accolto con convinzione l’invito del primo presidente, Bruno Maffi, a fare parte del suo Consiglio di Amministrazione in aggiunta al Comitato Scientifico.
Due tratti della personalità di Amadeo Bordiga 1945-1970 colpirono Giorgio Galli in modo particolare e li mise bene in evidenza: l’anonimato e «l’invarianza del marxismo». Se vogliamo approfondire questi due concetti, dovremmo aggiungere che l’individualismo fu non solo per Bordiga, ma per altri che videro nel comunismo il rovesciamento della sfrenata concorrenza capitalistica originata da un parossistico individualismo e indicarono l’alba di un mondo nuovo nel rifiuto delle icone simboliche degli eroi, santi, martiri ed «omenoni», tutti raccolti sotto la nozione napoletana e bordighiana di «battilocchi» (in quegli anni, un altro comunista, Bertolt Brecht esclamava «felice quel popolo che non ha bisogno di eroi!»). Quanto «all’invarianza del marxismo» può ben essere intesa come messaggio antitetico alla nozione di «stato nazionale», concetto o disvalore complementare non antitetico a quello di individualismo. Anche se sia gli ascendenti paterni che materni di Bordiga avevano contribuito al consolidamento dello Stato nazionale italiano, non con le gesta eroiche, ma con lo studio, la ricerca e l’insegnamento pubblico, Amadeo era rimasto disgustato dalla carneficina balcanica degli anni 1912-1913, che aveva prodotto centinaio di migliaia di morti in due guerre, accompagnate da epidemia di colera, scatenate da etnie da poco costituitesi in stati nazionali. La sua campagna dura, intransigente per il mantenimento della neutralità italiana nel periodo giugno 1914.ì-maggio 1915 respingeva con forza anche il pretesto nazionalistico dei bellicisti che cianciavano di completamento dello stato nazionale italiano con il ricongiungimento alla madrepatria delle città «irredente» (Trento e Trieste). Se il socialismo italiano voleva ispirarsi al pensiero di Karl Marx, doveva ricordare bene l’appello finale del Manifesto, indirizzato «agli operai di tutto il mondo», non agli operai di questo o quello stato nazionale. Coerentemente, fra i partiti comunisti aderenti alla Terza Internazionale Bordiga fu l’unico a mettere in rilievo nel titolo, il dove (Italia), evitando l’attributo nazionale (italiano).
Per meglio ricordare i motivi che indussero Giorgio Galli a trattare con aderenza alla realtà la figura di Bordiga non senza un’ammirazione palese, ma anche critica, verso la persona, lasciamo a lui stesso la penna, per ricordare quanto ne scrisse nl 1975 a cinque anni dalla scomparsa di Bordiga:
È difficile presentare l'opera di Amadeo Bordiga. Segretario del Partito comunista d'Italia fondato a Livorno nel 1921, ha avuto una parte rilevante in un momento cruciale della storia italiana; la sua opera di teorico marxista ne fa una delle figure eminenti tra i continuatori di Marx a livello mondiale. Ma di Marx egli si considera un semplice ripetitore. Sostituito da Antonio Gramsci alla direzione del partito, arrestato e confinato durante i primi anni della dittatura fascista, ha lavorato nel secondo dopoguerra con un gruppo di compagni costituitisi in Partito comunista internazionalista. Con loro (ma col suo contributo preminente) elaborò una Storia della sinistra comunista, pubblicata negli Anni Sessanta, nella quale definì il rapporto tra individuo singolo e movimento politico in una frase che vale l'intero saggio di Plechanov (il maestro di Lenin) sul ruolo della personalità nella storia
“Sia il testo di oggi, che i testi di allora, sono anonimi: gli uni e gli altri perché da noi considerati non già come espressione di idee e di opinioni personali, ma come testi di partito... al quale non si addice nessuna etichetta di persona e che non solo non comporta, ma esclude la borghese e mercantile rivendicazione della peggiore forma di proprietà privata, quella intellettuale”. Eppure, quando la seconda metà degli Anni Sessanta ha visto, in Italia, una ripresa di esperienze, di lotte, di riflessioni che si riallacciavano alla tradizione del marxismo rivoluzionario, una parte di questa ripresa, una parte dei giovani e dei militanti che l’hanno vissuta, è collegata proprio al nome e alla impostazione di Amadeo Bordiga. Non al movimento nel quale egli ha lavorato nell'ultimo periodo della sua vita dal 1945 al 1970, ma all'uomo, alla battaglia politica, alle convinzioni sulla "invarianza" del marxismo, espressi nell’identità umana e nel cervello pensante denominati Amadeo Bordiga.
Egli, evidentemente, disprezzava il termine "bordighismo". Eppure in questo modo è stata definita una esperienza "collettiva" maturata negli Anni Venti e continuata con rigore e coerenza teorica immutati, sino agli Anni Settanta. Certamente questo legare una esperienza collettiva al nome di una persona può essere considerato un sintomo di arretratezza da parte di chi si afferma coerentemente sulla linea del marxismo rivoluzionario, del "red terror doctor", per usare la qualificazione di Marx che Bordiga prediligeva su ogni altra. Ma, comunque, va constatato il fatto che una serie di gruppi e di militanti presenti nella sinistra italiana negli ultimi anni riferiscono le loro azioni e il loro pensiero all'uomo che, personalmente, diede il maggior contributo alla fondazione del partito comunista. Quando, oltre vent’anni fa, scrissi un abbozzo di storia del Pci, Togliatti osservò ironicamente, su Rinascita, che in questa storia veniva fatta una scoperta fossile: si riportava alla luce un iguanodonte a nome Amadeo Bordiga. Dieci anni dopo, ricostruendo la formazione del gruppo dirigente del Pci, lo stesso Togliatti così definiva l’"iguanodonte": "Il vero dirigente di tutto il lavoro fu Amadeo Bordiga. Questi era dotato di una forte personalità politica e di notevoli capacità direttive. Aveva svolto per anni un sistematico lavoro di organizzazione della propria frazione in seno al partito socialista e aveva in questo modo acquistato vaste conoscenze e prestigio tra i quadri della sinistra del movimento. Sapeva comandare e farsi ubbidire. Era energico nella polemica con gli avversari quantunque per lo più scolastico nell'argomentazione. Tutto ciò ebbe come conseguenza che il gruppo fu centralizzato quasi esclusivamente attorno alla sua persona. Si creò la convinzione che egli fosse il vero 'capo' di cui il partito aveva bisogno e che lo avrebbe guidato bene, anche nelle situazioni più difficili". Togliatti era stato tra i giovani dirigenti più legati a Bordiga: era stato tra gli ultimi a staccarsi da lui, nel 1923 /24, per diventare il luogotenente di Gramsci. Col suo scritto degli Anni Sessanta, il segretario del possente Pci restituiva ad Amadeo Bordiga il ruolo e la funzione che erano stati suoi vent'anni prima. L'accurata Storia del partito comunista di Paolo Spriano ha continuato e approfondito questo indirizzo: i giovani militanti della fine degli Anni Sessanta vedono dunque in Bordiga il fondatore e il capo del primo e rivoluzionario partito comunista.
Perché Bordiga, che capi per primo, prima di Trockij, le ragioni e la dinamica dell’involuzione della III Internazionale, non abbia voluto continuare la lotta politica fuori d'Italia negli anni del fascismo, rimane per me un problema ancora da chiarire. Ancora nel 1926, Bordiga avrebbe potuto fermarsi a Mosca, avere un posto di rilievo in quella Internazionale nella quale la sinistra manteneva il diritto di esporre le sue ragioni; non accettò. Di passaggio a Berlino, gli fu proposto da compagni della sinistra di alcuni partiti di fermarsi nella capitale tedesca, di guidare una frazione del Comintern che avrebbe potuto costituire una alternativa rivoluzionaria allorché la prevista involuzione della III Internazionale avrebbe assunto caratteristiche irreversibili; Bordiga non accettò; tornò in Italia per farsi arrestare; durante gli Anni Trenta esercitò la sua professione di ingegnere; il gruppo dirigente comunista nell’emigrazione poté cosi sostenere che, mentre Gramsci moriva nelle galere di Mussolini, Bordiga potevacircolare libero in Italia, "come una qualsiasi canaglia fascista".
Ho incontrato poche volte Bordiga. Nella prima di queste, nella sua vecchia casa napoletana, gli chiesi se potesse chiarire le ragioni di quel comportamento. Sorrise e scosse la destra. Disse semplicemente che allora "non c'era niente da fare". Una risposta che non dice nulla, ma potrebbe dire tutto.
A Bordiga è stato attribuito una sorta di fatalismo, di essere un determinista, per usare uno degli aggettivi più comuni nella terminologia marxista. Forse Bordiga era perfettamente conscio del lungo periodo di involuzione che nel 1926 si preparava per il movimento comunista. Forse ha preferito il distacco e la riflessione nell’isolamento in Italia alla estenuante lotta delle sette che ha amareggiato gli anni di Trockij, profeta esiliato.
Anche questo libro - una raccolta di scritti elaborati a partire dal 1954 - ha l'obiettivo di tratteggiare l'invarianza del metodo marxista, (definito una volta per tutte, come Bordiga ebbe a scrivere altrove, nella mezzeria dello scorso secolo) nei confronti di nuove elaborazioni interpretative dalle quali prendevano avvio teorico vari gruppi della sinistra degli Anni Cinquanta.
"Scopo di questo studio" - scrive Bordiga - "è la difesa della spiegazione determinista delle vicende storiche che hanno avuto per teatro la Russia, allo stesso titolo per cui è valida negli altri paesi. Si tratta di confutare la controtesi che il marxismo sia un metodo applicabile nella Europa di occidente, ma cada in difetto in Russia e in altri paesi europei arretrati o in Asia... Si tratta di confutare... la controtesi che i fatti di Russia abbiano portato alla luce rapporti sociali e dati storici inediti e che quindi, non essendo stati noti a Marx ed ai marxisti di occidente, comportino una revisione... Alla sorpresa storica per gli accadimenti di Russia arrivano tutti, da tutti i lati. I borghesi vi arrivano perché scardina l'arma marxista nelle mani del proletariato di occidente, lo attira ad altre edizioni crociatistiche contro un pericolo slavo o giallo o nero - o dispotico, terroristico, dittatoriale, soffocatore della Persona. Gli stalinisti vi arrivano per sostenere che malgrado le previsioni contrarie di Marx e di Lenin e di tutti i marxisti, senza la rivoluzione d'occidente la Russia è passata al pieno socialismo economico. E perfino gli antistalinisti come i trotzkisti e altri gruppi sparuti e sperduti vi arrivano soltanto fuori dallo 'schema' di scuola e dando la colpa della degenerazione rivoluzionaria sovietica a forme che confondono colle classi, coi partiti, collo stato, all'abuso del potere, al privilegio della burocrazia, a complicanze che il ricettista Marx avrebbe avuto il torto di non sognarsi neppure. "
Bordiga, dunque, si è vissuto soprattutto come un "ripetitore" di Marx, contro le innovazioni e i revisionismi di “gruppi sparuti e sperduti“, conseguenza della situazione oggettiva che egli descrive attraverso 1'assorbimento da parte della classe operaia e del partito che la esprime della "invarianza" marxista? Ecco la risposta che Bordiga dà in questo testo:"Allora non crediamo con fede inconcussa nella immancabile rivoluzione proletaria? Solito modo di porre la cosa! La diciamo a cento passi immancabile, sulla base di una ipotesi comune all'avversario: che continui lo sviluppo delle forze produttive nelle forme e entro l'involucro capitalista, che in tal caso dovrà scoppiare. Ma ogni previsione è condizionata. Tutti gli antichi oracoli si leggevano in due modi: e noi non pretenderemo mai ad oracoli. La profezia non è per il fesso. E per fesso non s'intende chi di cervello ebbe poca razione in retaggio, ma chi è inchiodato al determinismo di interessi di classe, e anche di classe di cui non è membro. Sciogliamo dunque, o Edipo, questo nuovo incapsulato vero! "
È una frase che appare (l'aggettivo è appropriato) sibillina. Affida al lettore la comprensione di un testo che risulta a due livelli. Il primo livello è una storia russa accompagnata da una apologia delle rivoluzioni (borghese e proletaria): è una analisi di vigoroso stile marxista. Il secondo livello è quello che tutti i paradigmi della scienza (marxismo compreso) incontrano sul loro cammino: il livello della previsione condizionata. (Amadeo Bordiga, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, pref. di Giorgio Galli, Il Formichiere, Milano 1957).
Il pedante potrebbe essere indotto a correggere alcune imprecisioni (Bordiga di fatto non fu segretario del PCd’I; il piccolo partito in cui si riconobbe nel secondo dopoguerra fu prima il Partito Comunista Internazionalista, poi il Partito Comunista Internazionale), ma la sostanza della prefazione citata è ispirata ad un onestà intellettuale, che la Fondazione Amadeo Bordiga non può non considerare un merito.
Professore Michele Fatica
Presidente Fondazione Amadeo Bordiga