«Bela Kun. Oggi un comunicato ufficiale riabilita questo nome di un impareggiabile compagno, marxista completo, vero eroe rivoluzionario, che semplice e modesto si aggirava umile nei corridoi dei congressi di Mosca, tra tanti pomposi intriganti di manovre coi socialtraditori d'Europa, quasi fosse stata una colpa l'amara disfatta del magnifico partito ungherese, superbo per la dottrina teorica quanto per il valore sulle barricate; e solo perché, quando le belve capitaliste azzannavano alla gola, nel momento cruciale, la rivoluzione di Mosca, non aveva atteso altro per lanciare tutto nella battaglia, nella grande rossa cittadella danubiana, levata contro la ventata feroce di tutte le sbirraglie borghesi d'Europa, contro la velenosa rabbia di tutti i rinnegati e socialtraditori, tedeschi ed intesisti, fascisti e democratici. Non sarebbe mai egli tornato in Europa per trattare, magari per ordine di Lenin che tanto lo amava, coi boia del socialismo rinnegato: dichiarato nel 1937 nemico del popolo, non si sa dove sia stato mandato a crepare in Siberia pochi anni fa».
Da «il programma comunista», n. 5, 3-17 marzo 1956.
Inattesa e fulminea giunge la notizia di un'altra vittoria della Rivoluzione mondiale: in Ungheria il governo borghese del conte Karoly cede il potere al proletariato massimalista, che instaura il regime dei Soviet e si mette in diretta comunicazione coi compagni di Russia.
L'Intesa vincitrice perde il controllo della situazione, non solo non può più dirigerla ma nemmeno comprenderla; e quanto essa compie per conseguire un dato effetto, produce l'effetto precisamente opposto.
La storia non registra forse esempio di situazione così difficile e sgradita pel vincitore di una lunga e terribile guerra.
La borghesia occidentale sente la nostalgia di un avversario tradizionale quale era la borghesia degli Imperi centrali, che si poteva costringere a battaglia militare e battere secondo le vecchie regole e le antiche risorse della grande politica.
Ma dopo la clamorosa vittoria, l'avversario, il vinto, si è dileguato, e al suo posto si leva arbitro del mondo, giudice terribile del vinto e del vincitore, il socialismo mondiale.
Nuovo e tremendo avversario, le cui prime minacce si credette disperdere colla guerra e che ora risorge temprato e inesorabile dai campi dilaniati dalla strage.
Mentre lo si vuole abbattere o almeno costringere nella Russia ove già trionfa, esso supera i fronti militari territoriali, traversa i cordoni sanitarii e dilaga magnifico, irresistibile, per questa vecchia Europa sanguinosa.
I governi, la stampa della borghesia — pervasi dalla stessa aria incosciente che condusse l'imperialismo germanico al suicidio di Brest-Litovsk — smarriti e perplessi dinanzi alla grandiosità degli avvenimenti, risuscitano colla fantasia l'avversario antico di cui rimpiangono la mancanza, e cercano di far credere che il cammino della Rivoluzione sia... una commedia, ad uso e consumo di quell'imperialismo austro-tedesco-magiaro che ormai più non esiste.
Una commedia! Già le notizie posteriori mostrano che la guerra di classe è in pieno sviluppo e il gesto del Karoly non l'ha scongiurata, come non poteva indurre la borghesia capitalistica e terriera ad accettare tranquillamente la dittatura espropriatrice del proletariato.
Per la stampa borghese tutto è una commedia. Essa non vuol vedere la storia. L'enorme ingranaggio della Rivoluzione Russa era per lei mosso dall'oro di Berlino. La rivoluzione ungherese, la lotta terribile tra spartaco e i social-Kaiseristi di ieri è per essa un trucco artificiale delle oscure potenze, che congiurano contro la pacifica celebrazione retorica e sbafatoria del trionfo bellico per il quale lor signori hanno versato tanto... inchiostro.
La nemesi storica si vendica cosi della borghesia. Quando essa uscì trionfante dalla grande Rivoluzione francese e i suoi principii sovvertitori si spandevano pel mondo, invano le classi aristocratiche e feudali inorridirono e imprecarono, invocarono i fulmini del loro Dio spodestato, e maledissero all’opera diabolica della giovane borghesia volteriana spregiudicata e iconoclasta.
Oggi il ciclo storico della borghesia si chiude, sotto i nostri occhi, come lo vide chiudersi il vaticinio formidabile di Carlo Marx. Dinanzi alle nuove potenze della Rivoluzione proletaria socialista la classe borghese sente tremare le ragioni del suo dominio e indietreggia smarrita. Il suo giovane senso della storia che ne faceva cento trenta anni addietro una forza di propulsione della società si cambia nel balbettamento degli organismi decrepiti. No, non è la Rivoluzione, è una commedia! Anche Maria Antonietta e Luigi XVI sorridevano incoscienti al passaggio delle urlanti colonne dei sanculotti!
Ma la storia non si esorcizza. Non la esorcizzarono i preti della Santa Alleanza, non la esorcizzeranno i sacerdoti della Plutocrazia borghese.
[18 righe censurate]
Da «Il Soviet», n. 15, 30 marzo 1919.
[Volume III degli Scritti 1911-1926, pagina 136]
L'Intesa può bene essere soddisfatta e cantare vittoria. II regime comunista in Ungheria è caduto dopo cinque mesi di vita. La piccola fiamma rossa che il proletariato aveva acceso nel bel mezzo d’Europa accanto alla immensa face che splende luminosa nel suo estremo orientale è spenta.
Il travolgente pericolo bolscevico non incombe più.
La rivoluzione è arrestata. Noi già avvertimmo in un precedente articolo questo procedere del moto rivoluzionario che non prosegue un corso regolare di costante progressione, ma che va avanti a sbalzi, si arresta e può anche momentaneamente rinculare per riprendere poi una più rapida andatura.
Se consideriamo lo stato attuale del movimento rivoluzionario in raffronto a quello di pochi mesi indietro dobbiamo riconoscere che esso è non solo fermato, ma in ritirata.
La caduta del regime comunista oltre ad essere per sé un indizio di questo cedere di terreno, avrà la sua ripercussione sfavorevole e dannosa su tutto il movimento.
Tutti i fanatici dell'azione, tutti i sentimentali, tutti quelli che seguono le facili illusioni di trionfi improvvisi e che per questo si gettano nel vortice rivoluzionario si ritrarranno sconfortati.
Tutti i tiepidi che molto a denti stretti si mostravano amici sinceri del regime bolscevico pel solo fatto che esso trionfava progressivamente, ora parleranno a bocca bene aperta e ne trarranno ben diverso linguaggio. Ci libereremo forse dei massimalisti della centesima ora, e sarà un gran bene.
La borghesia cercherà di trarre il massimo profitto da questa sua ripresa di energia e dalla vittoria.
I suoi vari governi, mentre continueranno a mentire sfacciatamente e a velare con ipocrite frasi ii vero, insisteranno nella azione contro la Russia rivoluzionaria.
Non è improbabile che alcuno di essi si faccia animo fino a confessare apertamente il proprio programma di strozzamento del regime comunista russo. Già infatti il tono del linguaggio degli uomini di governo inglese e francese è più forte e più esplicito. Ciò non deve e non può sorprendere se si pensi alla gravita del duello che la borghesia combatte ed in cui essa ha piena coscienza di giocare la sua esistenza. Se le potesse riuscire di spazzare via anche il regime russo non avrebbe per questo chiusa la partita, che rimarrebbe sempre aperta fino a che essa non fosse sconfitta, ma certo allontanerebbe questa ora fatale.
Noi che avendo piena e sicura fede nel nostro ideale che non può non trionfare, possiamo appunto per questo seguire con serenità gli avvenimenti che si svolgono, dobbiamo cercare di trarre da essi quegli insegnamenti che possano essere utili a guidarci nelle lotte, che in un prossimo domani dovremo ingaggiare.
Soprattutto dobbiamo trarre insegnamenti dalle sconfitte per riconoscerne le cause e scorgere in esse i possibili errori commessi da evitare.
Per quanto scarse sieno le notizie sulle vere condizioni in cui si effettuato ed è vissuto il governo comunista in Ungheria sembra certo che, a differenza di quanto a stato praticato in Russia nella quale i comunisti hanno agito da soli combattendo contro ogni altro partito specie per modo di dire affine, ivi vi è stato accordo tra comunisti e socialisti democratici.
Qualche cosa di analogo si verificò in Baviera, in cui il governo risultò di coalizione tra i gruppi socialisti più avanzati ed i comunisti ossia spartachiani.
Questa coalizione anziché dare forza al governo dando ad esso un più largo appoggio nelle classi popolari e stata una grande debolezza in quanto l'attuazione del programma e la soffocazione dei movimenti avversarii non sono state praticate con quella decisione indispensabile nell'ora difficile.
La dittatura del proletariato ha funzionato male proprio perché non tutti coloro, che erano chiamati a questo funzionamento, erano decisi partigiani di essa.
I socialisti democratici da non confondersi coi comunisti e bolscevichi, ovunque o sono stati fin dall'inizio a questi contrari e si sono alleati alla borghesia o peggio ancora quando si sono alleati ai comunisti, li hanno costantemente traditi.
Ciò tanto in Baviera quanto in Ungheria.
Non altrimenti si può comprendere come ritiratisi quivi i comunisti siano rimasti a capo del governo ungherese i socialisti e proprio quelle persone che erano al governo insieme ai comunisti, e che mentre l'intesa ha con tutte le sue forze combattuto questi, ha riconosciuto il governo successivo, salvo crearne dopo uno stato borghese.
Evidentemente l'accordo coll'intesa è avvenuto non dopo l'uscita dei comunisti ma preesisteva ed ha servito a preparare la caduta di quelli. Che cosa a questo se non un tradimento operato in seno dello stesso governo? Tradimento non so se dovuto a qualità personali degli uomini che lo hanno compiuto, ma certo conseguenza di una profonda diversità di programma.
Il nuovo governo socialista e rivoluzionario ungherese, composto in parte di individui che facevano parte del precedente governo comunista senza pur essere tali, ha per primo suo atto deciso il ripristino della proprietà privata che l'altro aveva dichiarato di volere abolire.
Quanto a avvenuto in questi paesi ove si a verificata una rivoluzione proletaria deve servire di ammaestramento.
La profonda diversità di programmi tra comunisti e ogni altra gradazione di socialisti (usurpatori di tal nome) non consente un'azione comune.
I comunisti hanno una meta chiara che indica loro un metodo chiaro, che essi soli possono seguire perché scaturisce dal fine da raggiungere. Essi non possono che praticare la intransigenza assoluta, quella che un avversario in mala fede quale l'on. Labriola chiama settaria — in mala fede non perché egli sia convinto del contrario ma perché questa qualifica serve a lui per gittare nella classe operaia il discredito sul metodo e sulle persone che lo seguono.
Debbono respingere ogni alleanza che sarebbe perniciosa e battere da soli la strada maestra, che dovrà condurli alla vittoria che non consiste nei facili ed effimeri successi, ma nella integrale e razionale realizzazione del loro programma organico.
Da «Il Soviet», n. 33, 10 agosto 1919.
[Volume III degli Scritti 1911-1926, pagina 296]